La danza di prāṇa e apāna nel toroide del respiro

Da alcuni anni, in parallelo al nostro percorso nell’Ashtanga Yoga, stiamo portando avanti una ricerca più ampia sull’essenza del vinyasa1, una riflessione profonda sul significato della pratica come elemento in grado di risvegliare una dimensione di consapevolezza ed ascolto attraverso la connessione dei poli energetici del corpo nel respiro.
Nel nostro primo libro, Ashtanga Yoga. Corpo, respiro, movimento nella pratica del vinyasa, abbiamo proposto una lettura della Prima Serie a partire da concetti chiave: l’esperienza della matrice di samasthiti, la centralità del respiro, il movimento energetico toroidale.
La nostra ricerca è in continua evoluzione per comprendere con maggior profondità l’esperienza energetica della pratica come elemento trasformativo potente della nostra vita.
Su questo tema, anticipiamo un piccolo estratto dal nostro prossimo libro:
“Nel corpo sottile dello yogin, prāṇa e apāna rappresentano due forze complementari che sostengono la vita e guidano ogni processo trasformativo. Prāṇa è l’energia ascendente, espansiva, legata all’inspirazione e al cuore; apāna è l’energia discendente, ricettiva, connessa all’espirazione e al bacino. Quando questi due flussi si bilanciano, nasce una condizione di armonia e centratura che nutre la pratica.
Nel vinyasa, questa danza tra prāṇa e apāna si rende percepibile attraverso il processo inverso2 nel respiro consapevole: ogni inspirazione è un’espansione dello spazio; ogni espirazione è un radicamento, un raccoglimento di forze interne. Se osservata nella sua continuità, questa dinamica ricorda perfettamente il flusso toroideo, che circola attraverso un centro, unisce gli opposti, e li riconduce sempre a un punto di equilibrio dinamico.
La visualizzazione del toroide3 permette di integrare gli spazi di prāṇa e apāna4 in un’unica esperienza, superando la dicotomia per entrare in un campo vibrazionale coerente e in stato di risonanza continua. Il respiro, in questa prospettiva, non è più separato dal movimento, né il movimento è qualcosa di distinto dalla coscienza: ogni gesto nasce come espressione di una polarità che si equilibra.
Inoltre, il centro del toroide – quell’asse invisibile che attraversa il corpo – diviene la sede simbolica dell’incontro tra prāṇa e apāna, il punto in cui si genera la forza di rimbalzo, il nucleo che sostiene l’emergere del movimento nel vinyasa. In quel punto, il corpo si organizza senza sforzo, guidato non da un’intenzione volontaria, ma da un’intelligenza sottile che sa dove andare perché è connessa al ritmo stesso del vivere.
Yoni mudrā e kechari mudrā: l’ancoraggio del toroide nei poli del corpo
Affinché la visualizzazione del toroide divenga esperienza viva, essa deve trovare un radicamento concreto nel corpo. In questo processo, i mudrā5 non sono semplici gesti simbolici, ma veri e propri strumenti di accesso a spazi interiori, chiavi per stabilizzare la percezione sottile e orientarla lungo l’asse verticale del corpo.
Yoni mudrā,6 nella sua accezione profonda, riconnette il praticante al centro energetico del bacino. Non si tratta di un gesto delle mani, ma della percezione interiore del sacro come matrice di stabilità, cavità viva che sostiene il campo dinamico del vinyasa. Il bacino, attraverso questo mudrā, cessa di essere una zona di passività o di sola forza muscolare: diventa bacino di spazi, campo di forze in equilibrio, sede della forza di rimbalzo che dà impulso al movimento. È qui, nella parte più terrena dell’asse centrale, che le spirali si originano, trovano il loro punto di partenza e si propagano lungo la colonna.
L’altro polo, kechari mudrā7, praticato interiormente come ritrazione del senso del gusto e percezione dell’asse celeste, stabilizza il cuore e la verticalità. Non è solo l’atto fisico di rivolgere la lingua verso l’alto, ma un movimento della coscienza che si ancora al palato, aprendo la percezione dello spazio ascensionale che si espande durante l’inspirazione. Attraverso kechari, si rende percettibile lo spazio sottile del torace, l’area che riceve e organizza la forza di espansione di prāṇa.
Questi due mudrā, in dialogo tra loro, stabilizzano il toroide nei poli corporei: uno al sacro, uno al cuore. Il primo radica e sostiene, il secondo eleva e guida. Insieme, aprono l’asse del corpo come canale vivente in cui il respiro può fluire senza ostacoli, organizzando il vinyasa non come sequenza tecnica, ma come manifestazione dell’unità tra spazio, percezione e coscienza.
Il toroide come principio percettivo regolatore del vinyasa
Il modello del toroide, applicato al vinyasa, offre una chiave di lettura profonda e trasformativa: non si tratta solo di visualizzare una forma, ma di entrare in una nuova logica del movimento, in cui corpo, respiro e percezione si incontrano in un campo unitario e vivente.
Il vinyasa, così inteso, non è una somma di posture né una tecnica da padroneggiare, ma un processo percettivo continuo, un dialogo tra il dentro e il fuori, tra l’invisibile e il manifesto. Il toroide permette di percepire e organizzare questo dialogo: con il suo movimento circolare e spiraliforme, ci ricorda che l’equilibrio non è mai statico, ma nasce da un flusso di forze che si bilanciano nel tempo presente.
Attraverso l’euristica8 della visualizzazione, si apre uno spazio di ricerca in cui l’esperienza del praticante diventa centrale. Non ci sono verità da imporre, ma sentieri da percorrere. Il toroide, in questo senso, non è un dogma ma una mappa: suggerisce, orienta, ispira. Invita a sentire piuttosto che a fare, a percepire piuttosto che a eseguire.
In questo spazio risonante tra cuore e sacro, tra asse e spirale, il vinyasa si rivela per ciò che è nella sua essenza più profonda: un campo cosciente in movimento, dove ogni gesto è un atto di presenza, ogni respiro è un atto di ascolto, ogni sequenza è un mandala che si disegna e si dissolve nell’attimo vissuto.”
Torino, 6 maggio 2025