Tecnica o flow? Come affrontare la pratica nell’Ashtanga Yoga e nelle sequenze dinamiche.

Con questo articolo cercheremo di scoprire la natura della tecnica nella pratica dell’Ashtanga Yoga e la sua complementarietà con l’esperienza del flusso.
Spesso l’animo dei praticanti è combattuto tra il desiderio di padroneggiare la tecnica di asana e quello di coltivare una pratica di libera espressione del corpo attraverso la capacità di lasciare andare e vivere il flusso del movimento.

Scopriremo come in realtà questi due elementi non siano all’opposto bensì si integrino e completino a vicenda in un percorso di pratica consapevole.

Il fatto che l’Ashtanga Yoga sia caratterizzato proprio dalla self practice nella modalità Mysore Style, rispetta il percorso individuale dell’allievo e può valorizzare la componente empirica dello yoga.

Ciò significa che, poiché ognuno ha la sua storia personale, il modo in cui ogni allievo affronta un asana è assolutamente personale e tale deve essere il percorso proposto dall’insegnante per indirizzarlo verso l’esperienza della posizione, a partire dall’osservazione del suo corpo e di cosa esso esprime.

In questa prospettiva, il ruolo dell’insegnante è di supervisionare il modo in cui l’allievo gestisce l’energia e il tempo della pratica, lo studio personale – svadhyaya – affinché si avvicini a asana più complessi solo quando è pronto dal punto di vista non solo ginnico ma psicologico, respiratorio ed energetico.

Ci sono pareri discordanti sull’utilizzo e sul valore della tecnica nella pratica yoga: per alcuni praticanti la tecnica è elemento imprescindibile di un’esperienza di pratica dove la sicurezza nell’esecuzione di un asana nasce dall’analisi e della padronanza di ogni passo; da altri viene invece percepita come un vincolo, un elemento sterile che ingabbia il movimento e limita la libertà di espressione del corpo nello spazio attraverso il flusso del respiro.
In realtà, dal nostro punto di vista, occorre distinguere tra tecnica e tecnicismi. Dove la tecnica viene disegnata come un percorso codificato da una scuola di pensiero e applicato sull’allievo come modus operandi e passaggio obbligato nello studio di asana, rischiamo di sfociare nel tecnicismo sterile, espresso in schemi motori fissi applicati, come una griglia, al movimento del praticante.

Parliamo invece di tecnica viva e creativa quando viene considerata uno strumento a disposizione dell’allievo per uscire da un certo modo abituale di muoversi e di respirare, e acquisire elementi utili all’esperienza di un asana a partire dal proprio corpo. La tecnica viene quindi vista come un insieme di elementi che evolvono con la pratica e aiutano i praticanti a traghettarsi verso il senso della posizione, liberandosi dagli schemi abituali che influenzano l’apprendimento.

Quindi la tecnica aiuta non solo a comprendere e gestire il modo in cui la forza di gravità agisce sul corpo, ma anche il modo in cui altre forze influenzano il movimento: il modo in cui i pensieri, le credenze, le esperienze, i traumi, il passato premono sul corpo, il modo in cui il cibo contribuisce a costituire la materia del nostro corpo e a conferirgli energia.
In questo senso la tecnica è efficace se oltre a sequenze ordinate di movimenti per gestire le forze fisiche, è in grado di accogliere le variabili emotive e psicologiche legate al movimento del praticante e adattare gli step tecnici ad esse.

Il ruolo dell’insegnante è quello di osservare il corpo e saper cogliere di cosa l’allievo ha bisogno per affrontare il movimento, calibrando la tecnica di esecuzione sulle peculiarità di ogni praticante. Questo presuppone nell’insegnante esperienza data dall’osservazione empirica, nel corso degli anni, di più corpi in movimento, oltre alla comprensione degli elementi base a fondamento della tecnica di un asana, in modo da sviluppare la capacità di adattare la tecnica all’allievo e non il contrario.

La vera natura della tecnica risiede quindi non solo in ciò che è corretto fare, ma soprattutto sulla capacità di eliminare i filtri delle esperienze passate attraverso i quali percepiamo il presente e permetterci di vivere l’esperienza di asana per quello che è in quel momento.

La pratica di asana comporta un processo di digestione: attraverso un percorso calibrato sul nostro corpo e scandito sul ritmo e la profondità del respiro, arriviamo a digerire nuove forme di movimento e ad accoglierle nella nostra vita.

Ad esempio, le posizioni indietro suscitano nei praticanti sentimenti contrastanti: amate da alcuni che ne colgono la dimensione di libertà data dall’apertura del cuore, temute da altri proprio per questo motivo, amplificato inoltre dalla paura di cadere e di affrontare il senso del vuoto. Per chi le teme, questi aspetti possono creare inizialmente profondo disagio e stimolare il riaffiorare di emozioni legate al passato e sedimentate a livello del plesso solare.

Non è insolito che un praticante dopo una sequenza di posizioni indietro abbia un break emotivo che si manifesta con un pianto, in quanto, è possibile che la pratica abbia fatto emergere un antico dolore sedimentato nel corpo.

Studi clinici sui traumi evidenziano come il corpo e il cervello emulano le esperienze pregresse. Ciò significa che la memoria è inscritta simultaneamente in ogni cellula e la percezione di se stessi e dell’ambiente esterno passa sempre attraverso filtri prospettici nati nel nostro passato. Lo stesso modo di utilizzare i sensi nel cogliere la realtà è determinato da uno stato mentale di cui non si ha coscienza. Il corpo e il cervello ricordano a nostra insaputa (da Van der Kolk, Bessel, Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche, Raffaello Cortina, Milano 2015).

La pratica yoga attraverso il processo di disciplinare i sensi con il respiro permette di educare il cervello a riconoscere che il passato è passato e il presente è qui e ora.

Emerge quindi come gli elementi chiave per avvicinarsi agli asana, siano in primis il senso del respiro e lo studio progressivo di aspetti tecnici di asana per comprenderne l’omeoresi, la stabilità nel flusso.

Imparare a praticare attraverso una sequenza ordinata di movimenti, aiuta a consolidare la sicurezza e ad affrontare progressivamente anche asana particolarmente intensi che all’inizio non pensiamo di poter avvicinare.

Ogni nuova esperienza passa da un processo che ci porta dalla nostra zona di comfort verso un percorso di apprendimento: invitare un allievo ad uscire dalla propria zona di comfort affrontando, senza una calibrata progressione, asana complessi, scavalca la sua area di apprendimento scatenando reazioni di panico che lo riportano ai suoi filtri pregressi.
Ogni nuova esperienza passa da un processo che ci porta dalla nostra zona di comfort verso un percorso di apprendimento: invitare un allievo ad uscire dalla propria zona di comfort affrontando, senza una calibrata progressione, asana complessi, scavalca la sua area di apprendimento scatenando reazioni di panico che lo riportano ai suoi filtri pregressi.
La pratica costante e progressiva attraverso la cura del respiro, ci aiuta a sentire e a cogliere gli step adatti al nostro percorso di apprendimento attraverso un metodo.
Il krama, il metodo, della pratica può, per assurdo, essere considerato «fisica applicata allo yoga» perché ci permette di rapportarci con la prakriti, la materia, attraverso lo strumento connaturato all’uomo, il respiro. Attraverso il respiro scopriamo quei luoghi della materia dove le leggi fisiche funzionano più elegantemente. Quindi con l’ascolto del respiro, mettendo a tacere le vritti mentali e portando l’attenzione verso l’interno, ritroviamo la naturale eleganza del movimento che si sviluppa lungo binari armonici tracciati dalle linee di forza del corpo.

Attraverso il respiro manteniamo in equilibrio il sistema nervoso autonomo: con l’inspirazione attiviamo il sistema simpatico, con l’espirazione il parasimpatico.

Con una buona respirazione stabilizziamo le fluttuazioni del battito cardiaco e conferiamo equilibrio alle nostre reazioni e alle nostre risposte agli eventi quotidiani. Con la modulazione del respiro siamo in grado di controllare le nostre emozioni e scegliere con calma la nostra modalità di risposta agli stimoli.

La pratica di asana in armonia con il respiro e la padronanza di una sequenza ordinata di movimenti adatti al nostro corpo, aiutano ad affrontare con calma gli step di posizioni anche intense, monitorando l’equilibrio delle nostre reazioni al nuovo, liberi dagli schemi del passato.

Superiamo quindi la distinzione tra tecnica e flusso, coltivando un “lasciare andare” non casuale e caotico, ma fondato su un metodo nel rispetto delle peculiarità fisiche, mentali ed emotive del praticante.

Stefania Valbusa


Credits:
Pics by Alessandro Sigismondi, Stefano Boffetta
Model: Ayako Iwakami