Il ruolo dei bandha nel movimento e nella pratica Ashtanga Yoga

In questo articolo cercheremo di rispondere alle richieste fatte da alcuni lettori di trattare l’argomento bandha, uno dei temi chiave nella pratica dell’Ashtanga Yoga.

Tuttavia parlare di bandha è una sfida articolata e dalle molteplici sfaccettature, quindi ne tratteremo qui soltanto alcuni elementi riservandoci di ampliare nel tempo i temi connessi.

I maestri indiani si stupiscono di come noi occidentali utilizziamo i bandha naturalmente per tutte le nostre attività (giocare, tossire, starnutire, fare l’amore ad esempio) tranne che per praticare asana!

Questo perché quando ci avviciniamo alla pratica, i concetti di bandha e respiro ci sembrano avulsi dall’esperienza del nostro corpo.

Personalmente, ho imparato ad utilizzare i bandha attraverso lo studio del pranayama quando ancora praticavo e insegnavo yoga secondo il metodo Iyengar. In seguito ho accolto il flusso del respiro negli asana attraverso l’esperienza dei bandha e questa pratica mi ha traghettato verso il vinyasa e l’Ashtanga Yoga.

Come abbiamo già scritto, il respiro è il cuore del vinyasa in quanto struttura il movimento bilanciando, organizzando e trasmettendo le forze in tutto il corpo. Affinché questo avvenga il respiro è strettamente collegato con i bandha, contrazioni muscolari, e la drishti, direzione dello sguardo: il coordinamento dei tre elementi viene chiamato trishtana e caratterizza la pratica dell’Ashtanga Yoga.

In Yoga Mala , Pattabhi Jois definisce i bandha contrazioni o blocchi dei muscoli durante la pratica di asana. Infatti parla di mulha bandha (blocco della radice, che coinvolge la regione tra l’ano e i genitali che viene sollevata verticalmente verso l’ombelico); uddiyana bandha (blocco dello stomaco, che si pratica sollevando i muscoli centrali posti dieci centimetri sotto l’ombelico); jalandhara bandha (blocco della gola).

Tuttavia, a partire dalla tradizione, abbiamo accolto l’interpretazione dei bandha data da Dona Holleman che ha approfondito lo studio del modo in cui ci rapportiamo con il movimento. Nel suo libro I principi vitali della pratica Yoga. Danzando con la fiamma della vita , Dona Holleman colloca i bandha in quelle parti del corpo dove c’è una struttura ossea ad arco, concava, di solito con un pavimento legamentoso, ad esempio la pianta del piede, l’arco del bacino, il palmo della mano, il pavimento della lingua.

A partire da questa definizione, possiamo considerare i bandha archi naturali del corpo, strutture muscolari tensili, inserite in strutture compatte concave. La tensione creata dalla contrazione dei bandha innesca una scintilla di forza che viaggia lungo le strutture muscolari, creando un’azione non locale su altri muscoli, come un arco che tira una freccia. I bandha, da una parte aspirano e sigillano l’energia nel corpo dando stabilità a asana, dall’altra la trasmettono, in un’azione non locale, alla colonna vertebrale sviluppando la mobilità nel vinyasa.

Questa definizione di bandha, fa riferimento al principio di tensegrità che racchiude le regole di distribuzione dello sforzo nelle strutture fisiche. Il principio di tensegrità arriva infatti dall’architettura, dall’arte, dalla biologia e dalla fisiologia come caratteristica del sistema muscolo-scheletrico: tensegrità esprime l’equilibrio tra forze opposte attraverso l’integrazione tra parti mobili e parti stabili, tra elementi in tensione e elementi in compressione.

Mulha bandha – contrazione perineale – e uddiyana bandha ‒ assorbimento gentile della parte bassa dell’addome – sono inseparabili. L’uddiyana bandha concorre al tono di base che deriva dalla contrazione di mulha bandha e, a partire da quello, ci permette di dare stabilità alla regione sacrale e selezionare i muscoli per il movimento.

Da un punto di vista anatomico, Giovanni Bersi , chirurgo e autore, senza parlare di bandha, ha identificato un quartetto di muscoli il cui lavoro sinergico sta alla base della salute della colonna vertebrale: pavimento pelvico, trasverso dell’addome, muscoli stabilizzatori della zona lombo-sacrale e diaframma.

Il reclutamento di questo quartetto di muscoli agisce da organizzatore, selezionatore e anticipatore di tutta l’architettura degli asana mantenendo un bilanciamento continuo tra i muscoli agonisti – che creano il movimento ‒ e i muscoli antagonisti che resistono ad esso.

Come abbiamo visto, nella tradizione dell’Ashtanga Yoga si parla soprattutto di mulha, uddiyana e jalandhara bandha. Tuttavia la trasmissione delle forze nel corpo avviene coinvolgendo anche altri bandha. Infatti, i pada bandha, gli archi naturali del piede, sono le radici delle posizioni, aspirano una forza uguale e contraria alla forza di gravità e la veicolano lungo la muscolatura delle gambe. Tale forza, raccolta da mulha bandha e uddiyana bandha, viene trasmessa alla colonna vertebrale per essere poi accolta e suggellata dall’azione del jalandhara bandha. Gli hasta bandha, gli archi naturali delle mani, aspirano una forza che dà stabilità alle spalle e al torace, supportando il lavoro del jalandhara bandha e sviluppando forze lungo le strutture muscolari, linee di forza che si legano a mulha bandha e all’uddiyana bandha. In questo modo ritroviamo l’unione degli estremi del corpo, armonizzando il movimento nello spazio respiratorio.

Ogni posizione viene declinata quindi a partire dall’allineamento intorno all’asse centrale del corpo, che corrisponde alla coordinazione dei bandha durante la respirazione. Quando inspiriamo e quando espiriamo, sviluppiamo, attraverso il coordinamento dei bandha, percorsi mio-fasciali indirizzati dalle correnti respiratorie.

Abbiamo già visto come l’integrazione del centro fisico sia la base per lo sviluppo del movimento: il trishtana ‒ bandha, respiro, drishti – condensa gli elementi che stanno dietro l’esperienza della manifestazione del vinyasa, definendo i parametri per percepire il proprio centro fisico e i rapporti tra parti mobili e stabili del corpo nel movimento.
Molti di voi ci chiedono se i bandha vanno coinvolti sempre durante la pratica dell’Ashtanga Yoga.

Dal nostro punto di vista, senza i bandha non possiamo eseguire le posture in modo terapeutico – vale a dire con la protezione della colonna vertebrale ‒ in quanto i bandha, insieme al respiro, creano quella condizione di base di resistenza al movimento angolare e unidirezionale, coltivando il movimento rotondo ed armonico nel vinyasa.

Gian Renato Marchisio