Ashtanga Yoga: le ginocchia e la dimensione dell’infortunio

L’Ashtanga yoga è una disciplina che facilmente può mettere sotto pressione l’articolazione del ginocchio in quanto le sequenze sono ricche di movimenti in padmasana e di passaggi nei quali l’angolo richiesto al ginocchio può essere particolarmente impegnativo.

Le ginocchia sono finestre, punti di snodo e interscambio tra le forze ascendenti e discendenti del corpo a livello delle gambe. Le nostre abitudini al movimento, consolidate nel tempo, non sempre sono fondate nel radicamento dei piedi, in quanto l’utilizzo delle scarpe ha contribuito a far perdere progressivamente la funzionalità della muscolatura plantare.

Perdendo coscienza di questa parte del corpo spesso non riusciamo a generare la forza di rimbalzo e a veicolarla lungo la muscolatura delle gambe a supporto delle anche e dei muscoli pelvici.

Questa scarsa consapevolezza genera abitudini al movimento che a lungo andare possono essere all’origine di squilibri nella gestione del peso del corpo a livello delle ginocchia, le quali possono risultare lasse e instabili o al contrario iperestese e bloccate.

Nel padmasana in particolare, entrano in gioco più articolazioni ‒ anca, ginocchio e caviglia ‒ il cui coinvolgimento può essere più o meno fisiologico e sano a seconda del nostro modo di affrontare il movimento.

Abbiamo già sfiorato nei precedenti articoli il concetto di azione non locale: la consapevolezza che ogni movimento specifico non è mai limitato ai muscoli e alle articolazioni visivamente coinvolte, ma che ha radici e riflessi in tutto il corpo attraverso forze di radicamento, di centratura, di estensione, di azione e di resistenza.

Questa consapevolezza ci permette quindi di intuire come il movimento del padmasana non sia limitato al piegamento del ginocchio per portare il piede alla radice dell’inguine frontale opposto, bensì nasca dal radicamento dei piedi, trovi margine nella centratura del bacino, respiro nell’estensione della colonna, attraverso una sinergia data dalla connessione dei bandha del corpo con il respiro.

Come abbiamo già visto, il respiro ci permette di organizzare il movimento in modo funzionale: l’inspirazione corretta è legata al radicamento, alla percezione del proprio centro fisico e all’estensione della colonna a partire dalla stabilità del sacro, per preparare la fase dell’espirazione dove si sviluppa la combinazione dei movimenti specifici di asana.

Ad esempio, nel portare la gamba in padmasana in ardha baddha padmottanasana, il movimento specifico ha la sua origine prima nel radicamento del piede a terra, nella stabilità della regione del sacro attraverso i muscoli pelvici ‒ mulha bandha e uddiyana bandha ‒ e nell’estensione della colonna vertebrale richiamata dal jalandhara bandha. A partire da questa premessa, possiamo suddividere il movimento del padmasana in una fase di preparazione dove la testa del femore ruota in sinergia con il richiamo del sacro, e nella fase del movimento specifico dove espirando da un lato richiamiamo l’energia verso l’alto, dall’altro planiamo con il piede verso la coscia.

È necessario rispettare il corpo, sentire la successione di sensazioni implicate nel movimento perché è molto facile scaricare tensioni su un ginocchio inerte, non protetto. Il ginocchio in padmasana viene mantenuto stabile attraverso la tenuta della regione pelvica e il piede attivo, pada bandha, posato sulla coscia.

Per posizionare correttamente e senza stress articolari le gambe in padmasana occorre avvicinarsi con senso di umiltà tenendo le redini del mentale, senza bramare la posizione finale come un oggetto da possedere. L’atteggiamento di possedere una posizione riguarda anche i praticanti più esperti: chi ha facilità a chiudere una posizione, spesso lascia in ombra buona parte del processo cercando immediata soddisfazione e perdendo interesse alla fase di ricerca, col rischio di nutrire la pratica con l’energia derivante dall’ego.

Attraverso una sequenza ordinata di movimenti passiamo dalla percezione di un movimento nello spazio esterno, alla percezione di uno spazio interno al corpo: in questo modo creiamo margine nelle articolazioni, educhiamo la mente e il corpo ad accogliere il flusso respiratorio e impariamo a percepire lo spazio interno. Affinare questa consapevolezza ci rende abili a sentire quando il corpo è pronto a darci il via libera per chiudere una posizione.

Il punto chiave è comprendere che il movimento per chiudere una posizione non è mai univoco, da A a B, ma si sviluppa in un processo che porta prima ad aprire il corpo per poter poi chiudere la posizione.

Questa è anche la premessa a qualunque tipo di intervento o aggiustamento dell’insegnante sul corpo dell’allievo.

Affinando la nostra capacità di sentire, impariamo ad acquisire informazioni su noi stessi sviluppando un processo di conoscenza che ci rende liberi.

Questo aspetto è particolarmente importante per sciogliere le paure legate ad infortuni del passato, rendendoci responsabili, abili a rispondere, del nostro percorso di guarigione: la capacità di sentire ci permette di vedere il dolore per quello che è, coglierne le gradazioni e l’evoluzione e affrontarlo con coraggio e serenità.

La pratica dello yoga coinvolge in primis il corpo attraverso asana: è la fase iniziale del nostro cammino o sadhana un percorso che, secondo gli Yoga Sutra di Patanjali, ci porterà ad uno stato sempre più sottile di conoscenza.

Leggendo gli Yoga Sutra si intuisce che si tratta del percorso di una vita, ricco di ostacoli e di cadute, che inizia appunto cercando di purificare, plasmare e trasformare questa materia grossolana che è il nostro corpo, composto da quello che mangiamo ma anche dai nostri pensieri, dalle nostre emozioni, dalle idee, credenze e certezze sulla vita che abbiamo acquisito nel tempo.

Il cammino attraverso lo yoga è una scelta non facile, decisamente poco comoda che, se affrontata con umiltà e cuore aperto, ci mette davanti a varie difficoltà mostrandoci senza veli i nostri punti di debolezza e stimolando i nostri punti di forza.

Con la pratica noi muoviamo energie e, se non siamo vigili, possiamo anche nutrire elementi che ci giocano contro, che vanno a rafforzare «cose» che non sono funzionali al nostro benessere.

La pratica è in primis uno strumento per conoscere noi stessi ma spesso noi praticanti facciamo focus su aspetti secondari e irrisori della pratica che crediamo portino alla felicità ‒ l’acquisire o chiudere asana, la forma fisica, l’immaginario «formato Instagram» intorno al life style dei praticanti ‒ per poi accorgerci, o anche no, dell’illusione dietro a questa idea.

Il fatto che l’Ashtanga Yoga si basi sulla self practice rispetta e incoraggia il percorso individuale di conoscenza, perché i tempi sono diversi per ognuno di noi e gli ostacoli lungo il percorso possono manifestarsi proprio quando pensiamo di aver raggiunto traguardi ed essere ormai sulla strada giusta.

Da questo punto di vista, l’infortunio può rappresentare un modo per «far brillare la bomba» di dolori più grandi e profondi, che attraverso la pratica escono in superficie e possono essere gestiti anziché restare sommersi e portare magari a conseguenze più gravi in futuro. L’infortunio può avere al contrario un «effetto detonatore», quello di scatenare reazioni emotive che non pensavamo potessero appartenerci. Proprio nel momento in cui ci sembra che la nostra pratica progredisca e ci sembra di essere in sintonia con noi stessi e il nostro percorso, l’infortuno arriva a scompigliare le carte mettendoci davanti alle nostre paure, alle emozioni irrisolte.

Secondo il Maestro B.K.S. Iyengar un infortunio alle ginocchia è in grado di scatenare il nostro mentale. Quando le nostre ginocchia soffrono, proviamo quindi a chiederci quali pensieri stiamo tenendo bloccati, quale aspetto di noi non riusciamo ad accettare, di che cosa abbiamo paura, su che cosa dobbiamo lavorare.

In quest’ottica, l’infortunio è un’opportunità per conoscere veramente noi stessi accettando le nostre zone d’ombra, la nostra vulnerabilità e trovare lo stimolo per affrontare l’irrisolto che ci viene riproposto; spesso lungo il percorso dobbiamo lasciar andare idee, credenze nucleari, pensieri su noi stessi ed il mondo che non sono più funzionali a ciò che siamo e al raggiungimento dei nostri obiettivi.

Questa è la chiave per poter progredire davvero nel nostro sadhana e lavorare alla costruzione della nostra felicità.

 

Stefania Valbusa

Focus tecnico preparazione padmasana

Nella nostra pratica seguiamo questo ordine di movimenti:

  • partire dalla tenuta di mulha bandha e uddiyana bandha che contribuiscono ad agganciare il trasverso dell’addome, a richiamare il sacro in avanti mantenendo la schiena diritta e a supportare il coinvolgimento dei rotatori dell’anca;
  • sollevare il piede destro con la mano corrispondente sostenendo la caviglia e accompagnarlo con l’altra mano, cercando la rotazione esterna della radice della gamba;
  • far planare il piede destro verso la radice della coscia opposta e stabilizzare le articolazioni del ginocchio e dell’anca attraverso il pada bandha;
  • per il padmasana completo: cercare equilibrio sugli ischi mentre preparariamo la gamba sinistra, in modo da lasciare scendere più facilmente il ginocchio della gamba destra per far spazio al posizionamento della gamba sinistra in padmasana, evitando di strisciare il piede sinistro sulla coscia destra.